Apr 072014
 

Dite la verità: “quante volte avete sentito parlare di transistor?”. Quante volte avete sentito dire “questo processore è formato da un tot milioni di transistor”. Tante vero? E vi sete mai chiesti cos’è un transistor? Come funziona? Come possiamo usarlo? L’argomento non è di quelli che si risolve in un articoletto, si possono scrivere interi libri e già la sola classificazione può essere un problema. Ci sono infatti diversi tipi di transistor come i JFET, i cugini IGFET più noti col nome di MOSFET o i BJT . Tante sigle che mettono un po’ a disagio chi ancora non li conosce e tende a far scappare chiunque prima ancora di cominciare. Come da titolo incominciamo dagli ultimi e, vedrete, che alcune applicazioni sono più facili di quanto pensiate. Certo l’argomento è molto complesso e vasto, cercherò di renderlo più semplice possibile, ma preparatevi perchè l’articolo è lungo e più impegnativo dei precedenti.

Introduzione ai semiconduttori.

Avrete sentito parlare di semiconduttori, se non altro perché nei negozi onlindiodoPNe rappresentano una categoria in cui trovate gran parte dei componenti elettronici. Abbiamo già conosciuto un semiconduttore, il diodo, ma abbiamo sorvolato su come effettivamente funziona. Ora approfondiamo un po’ visto che la base di funzionamento del diodo è la stessa che ritroviamo nella gran parte dei componenti che andremo a studiare da qui in avanti.

Guardate la figura a lato dove è rappresentato il diodo. Come potete notare vicino c’è la rappresentazione di un rettangolo diviso in due da una porzione verde N ed una rossa P. Per ricordarvele vi dico subito di associare la P a positivo e la N a negativo. Se la zona P è positiva cosa significa? Significa che c’è un eccesso di cariche positive, mentre la zona N è negativa, quindi ha un eccesso di cariche negative. Sempre dalla figura potete notare che la zona P è connessa all’anodo e quindi al polo + e la zona N al catodo (K) e quindi al polo negativo. L’unione di una zona N ed una P prende appunto il nome di giunzione NP.

Ora, abbiamo già analizzato il funzionamento del diodo per cui dovrebbe essere più facile comprendere come interagiscono le zone P ed N. Facciamo finta di collegare il diodo in senso opposto, ossia con l’anodo (P) collegato al polo negativo ed il catodo (K) al positivo. Già sappiamo che in questa configurazione il diodo blocca il passaggio della corrente sino al raggiungimento della tensione di Zener. Diamo tensione e la “corrente positiva” raggiunge il catodo (zona N). Ho scritto “corrente positiva” per ricordarvi che per convenzione la corrente ha carica positiva anche se sappiamo bene dalla fisica che così non è, quindi seguendo il verso della corrente parleremo di “corrente positiva” mentre in senso contrario parleremo di “corrente negativa”….lo so si fa confusione, ma è una convenzione e non possiamo farci niente.

Allora, dicevamo, la corrente positiva raggiunge la zona N. La zona N, negativa, presenta un eccesso di cariche  negative, perciò la corrente di segno + attira le cariche negative in eccesso della zona N. Allo stesso modo dal versante opposto all’anodo ci sarà una “corrente negativa” a ridosso della regione P perciò succede l’effetto speculare appena visto ossia le cariche positive dalla zona P vengono attratte dalla “corrente negativa”. Globalmente nella zona di transizione fra N e P ci sarà perciò la tendenza a formarsi “un vuoto”, una sorta di barriera  che ostacola il passaggio della corrente. Chiaro che se la tensione è troppa, che nel caso specifico significa superare la soglia di Zener, la corrente passa ugualmente (effetto valanga) e se il diodo non è progettato apposta (diodo Zener) il componente sarà distrutto e non più utilizzabile.

Ora vediamo cosa succede con la giusta polarizzazione. La corrente “positiva” giunge all’anodo dove già c’è un eccesso di cariche positive, perciò tende “a spingerle”. Dall’altra parte la “tensione negativa” è della stessa carica della regione N per cui, come un fiume in cui versiamo dell’acqua, tende a portarsi dietro le cariche negative. In definitiva se da una parte si spinge e dall’altra si tira c’è la tendenza a far scorrere la corrente. Ovviamente ci vuole una certa forza iniziale, infatti N e P sono mantenuti separati da una minima forza che deve essere vinta per riuscire a far passare la corrente, altrimenti le cariche si mescolerebbero anche senza interazioni esterne. Guarda caso nei diodi al silicio questa “forza” corrisponde ai 0.7V della tensione di lavoro di cui abbiamo già parlato. Ora che abbiamo approfondito questo concetto, anche se in modo superficiale ed approsimativo, possiamo procedete con una breve introduzione sui transistors.

bjt_npnBipolar Junction Transistor (BJT)

Quando parliamo in modo generico di transistor, normalmente ci riferiamo proprio al BJT. Il transistor a giunzione bipolare è un componente elettronico il cui simbolo è qui a lato ed caratterizzato dalla presenza di tre pin che prendono rispettivamente il nome di collettore, base ed emettitore rappresentati nella figura da C,B ed E. Non è facile spiegare in parole semplici la loro funzione in quanto dipende come vengono collegati al resto del circuito. Fisicamente ha diverse forme e l’ordine dei pin può cambiare per cui bisogna sempre considerare i dati forniti dal costruttore per non sbagliare. A dirla tutta esistono due configurazioni del BJT, ossia la NPN (la più usata) che è quella rappresentata nella figura, e la PNP. Mamma mia che confusione.

Cerchiamo di ragionarci un po’ sopra. Abbiamo detto che il BJT più diffuso è di tipo NPN per cui c’è una giunzione NP ed una PN attaccate a formare appunto la doppia giunzione NPN. Ricordate il diodo di prima? Beh, è come se mettessimo due diodi uno opposto all’altro . Ovviamente non è proprio così, altrimenti basterebbe usare due diodi, ma per capire il concetto di funzionamento pensiamola pure in questo modo. bjt_schema

Per cercare di comprendere meglio il funzionamento di base guardiamo lo schemino a lato ed analizziamo come si comporta “a riposo”. Dal generatore V1 arriva una tensione collegata al collettore (polo +) ed emettitore (polo -). La corrente arriva al collettore e si trova nella situazione del diodo invertito per cui non succede nulla di nulla, la corrente non passa. Quindi, a meno di non usare una tensione in grado di distruggere il transistor, nella situazione basale in cui la base non è collegata, non passa alcuna corrente. bjtsenzabaseOra applichiamo una piccola tensione alla base. Guardando per ora il versante base-emettitore ci troviamo nella situazione del diodo correttamente polarizzato perciò, come già sappiamo, quando raggiungiamo una tensione Vbe (be=base -> emettitore) di almeno 0.7V ci sarà un’iniziale passaggio di corrente fra base ed emettitore.  Visto? Non abbiamo introdotto nessun concetto nuovo eppure stiamo già mandando il transistor in conduzione. Essendo la giunzione NPN in comune, la conduzione fra B ed E mette in conduzione anche collettore ed emettitore.
Bene, ora, prima di approfondire, vi faccio notare due cose importanti. Abbiamo usato il transistor in due modi diversi senza neanche accorgercene, ossia senza tensione alla base e con tensione alla base, portando il transistor a condurre o non condurre fra collettore ed emettitore. Ciò significa che in base al fatto che ci sia o meno tensione alla base permette di usare il BJT come interruttore ON / OFF. Nell’esempio ci sono delle semplificazioni, infatti non è solo un “c’è o non c’è tensione” ma anche “quanta”, ma per adesso non ci interessa, è sufficiente sapere che la prima e più semplice applicazione del BJT è quella di interruttore, applicazione molto usata ad esempio per attivare o spegnere un relè da parte di un circuito elettronico.

Ora riguardiamo il simbolo del BJT. Ci sono tre piedini, ma esistono solo un polo + ed un polo – per cui, per forza di cose, due piedini dovranno avere la medesima polarità. Ed infatti esistono tre modi diversi per utilizzare il BJT, detti “a base comune, collettore comune ed emettitore comune”.

Vi riporto qui sotto la schematizzazione semplificata dei collegamenti nelle tre diverse configurazioni.

bjt_configurazioni

Configurazione ad emettitore comune

Cominciamo dalla configurazione più usata che appunto è quella ad emettitore comune. Come potete notare dal prossimo schema, alla base ho collegato un generatore di corrente. Attenzione, ho detto di corrente e non di tensione, ciò mi permette di impostare correnti prefissate che mi permettono di mostrarvi meglio il funzionamento del BJT. Nella realtà, pur esistendo i generatori di corrente, viene tipicamente usato un generatore di tensione con un resistore in serie che determina la quantità di corrente che passa, ma approfondiremo più avanti.

bjtec1

Nella spiegazione iniziale dicevamo che una volta raggiunti i 0.7V alla base cominciava a fluire della corrente dalla base all’emettitore (Ib), inoltre cominciava a passarne anche dal collettore all’emettitore (Ic). Ovviamente la corrente che raggiunge l’emettitore (Ie) deve essere la somma di quella alla base più quella al collettore: Ie=Ib+Ic, in quanto tanto entra e tanto esce (Legge di Kirchhoff, ricordate?). Fin qua credo sia tutto chiaro. Ora alla base fisso il generatore a 20mA mentre il generatore collegato al collettore porta la tensione gradualmente da 0 a 12V.

Nel grafico è mostrata con la traccia blu la corrente Ic, quella che entra dal collettore. Come vedete inizialmente, nel primissimo tratto la corrente è nulla, anzi a dirla tutta è leggermente negativa in quanto alla base abbiamo applicato una corrente che può scorrere attraverso il collettore visto che è polarizzato direttamente (nel verso giusto) e l’alimentatore a monte è spento. La traccia rimane rimane così per un breve tratto per circa 0.2-0.3V che è la tensione necessaria a polarizzare il collettore inversamente (ricordate che è una specie di diodo messo al contrario?). Una volta che comincia la conduzione, la corrente sale in maniera improvvisa sino ad un certo punto. A questo punto la corrente scorre indisturbata ed è più o meno indipendente dalla tensione applicata al collettore, infatti possiamo notare come all’aumentare ulteriore della tensione la corrente aumenta solo leggermente (effetto Early).

Riassumendo con poche parole, se alla base abbiamo una corrente che polarizza BE, applicando una tensione al collettore, la corrente sale bruscamente sino al raggiungimento di una certa soglia poi si mantiene costante con un lieve progressivo incremento. Ora che abbiamo capito questo meccanismo, vediamo cosa cambia modificando la corrente che fluisce alla base. Nel prossimo grafico si vede in maniera chiara che aumentando o abbassando la corrente che fluisce alla base cambia anche la corrente che passa per il collettore.

bjt_npn_emettitore_corrente

Nel grafico ho simulato incrementi alla base di 10mA, ma dai grafici si nota chiaramente che l’aumento di corrente al collettore è molto più grande dei 10mA di volta in volta aggiunti alla base. Il rapporto fra la corrente alla base e quella al collettore è una caratteristica fondamentale di ogni bjt e prende il nome di coefficiente di amplificazione del transistor ed è indicato con β o alternativamente con Hfe.

β=Ic/Ib

Fate molta attenzione  a questo concetto perché è importantissimo. Dando una piccola corrente alla base otteniamo una corrente decine fino a centinaia di volte superiore al collettore per questo motivo il transistor può essere usato come amplificatore in quanto passiamo da una piccola corrente alla base ad una grande corrente al collettore. Uno degli utilizzi più classici è il controllo di un relè da parte di un microcontrollore, infatti il microcontrollore in genere può erogare solo alcune decine di milliAmpere ma grazie al transistor è in grado di eccitare un relè che ne assorbe alcune centinaia. Vi faccio notare che le varie curve tendo ad avvicinarsi leggermente all’aumento della corrente alla base, ciò significa che il coefficiente di amplificazione tende a ridursi un po’ man mano che aumentiamo la corrente alla base.

E’ inoltre importante sapere che il fattore β non solo si riduce leggermente all’aumentare della corrente alla base, ma può variare notevolmente in base alla temperatura di esercizio ma anche fra un transistor e l’altro anche se del medesimo tipo. Per tali motivi nel campo reale quando si utilizza un bjt occorre progettare il circuito tenendo in considerazione variazioni di 2-3 volte, per cui se ad esempio abbiamo un bjt con coefficiente di amplificazione di 100, dovremmo prevedere valori da 50 a 200. Se vi interessa un esempio pratico, in questo articolo è spiegato come collegare un relè 12V ad Arduino attraverso l’uso di un transistor. Anche se dovrebbe essere abbastanza ovvio, il coefficiente di amplificatore vale solamente per la parte lineare dei grafici visti sopra che è detta regioneattiva. La zona in cui non c’è corrente alla base è detta invece di cut-off mentre quellain rapida salita è la la regione di saturazione.

Sinora abbiamo visto come variare la corrente che passa per il collettore, ma fra collettore ed emettitore la differenza di potenziale è sempre restata invariata e pari a quella fornita dal generatore. Ora, se prima del collettore inseriamo un resistore cosa succede? Semplice. Il resistore limita la corrente massima che può passare attraverso di esso e quindi attraverso il collettore motivo per cui non può andare oltre i limiti imposti dalla legge di Ohm. La cosa interessante è che nella cosiddetta “regione attiva”, all’incrementare della corrente la tensione si riduce per cui, a conti fatti, con questa semplice modifica possiamo usare il bjt anche per controllare una tensione. Si noti che all’aumento della corrente c’è la riduzione della tensione e viceversa, con una relazione di tipo inverso.

Configurazione a collettore comune

Per ottenere questo tipo di configurazione dobbiamo inserire un resistore all’uscita dell’emettitore in modo che le correnti che transitano dalla base e dal collettore fluiscano insieme attraverso il resistore. In questa configurazione il bjt permette di avere la massima amplificazione della corrente che è pari a  β+1. In questa configurazione all’aumento della corrente alla base c’è un proporzionale incremento della tensione, quindi abbiamo una relazione diretta e non inversa rispetto a quanto detto nell’ultima parte del precedente paragrafo. Faccio notare un piccolo grosso particolare. Nella configurazione precedente i valori di corrente e tensione venivano misurati prima del collettore, infatti l’emettitore, essendo a massa, non ha differenza di potenziale. Ora invece le misurazioni vengono effettuate fra l’emettitore ed il resistore interposto prima della massa, infatti se misurassimo anche in questo caso prima del collettore, avremmo una corrente simile, anche se di segno opposto (mancherebbe il contributo della base), ma la tensione sarebbe quella del generatore, cosa che peraltro è abbastanza ovvia. Se confrontiamo la tensione alla base e all’emettitore, noteremo che quest’ultima è di 0.7V inferiore, guarda caso della stessa quantità necessaria alla polarizzazione della giunzione del transistor, anche se tende a ridurre leggermente con l’aumento della resistenza del resistore. Qui sotto vi riporto alcuni grafici che mostrano il funzionamento di questa configurazione.

pnp-cc-schema
Ecco qui lo schema elettronico di base. Non fate caso al fatto che rispetto a prima c’è un transistor diverso, li prendo a caso, cambiano i parametri tecnici ma il discorso resta del tutto identico. Anche il generatore alla base è indifferente, lo cambio a seconda del grafico che desidero costruire. La sola cosa importante da notare è il resistore a livello dell’emettitore.
pnp-cc-tensione
Nella traccia verde vediamo la tensione alla base; in quella viola la tensione all’emettitore che come vedete è inferiore di 0.7V, ossia la tensione di polarizzazione che innesca la conduzione.
pnp-cc-corrente
Sull’asse orizzontale vediamo la corrente alla base, sul verticale quella che “fuoriesce” all’emettitore. Come vediamo, per questo specifico bjt, per correnti alla base di anche meno di 2mA riusciamo ad ottenere correnti all’emettitore di 120mA.
pnp-cc.resistore
Come intuibile la corrente all’emettitore, sempre sull’asse Y, dipende dal valore del resistore in quanto non possiamo sfuggire alla legge di Ohm. Nell’esempio ho applicato da 0 a 10mA alla base (asse orizzontale) ottenendo correnti al colletore variabili da circa 20 a circa 200 mA in ragione del resistore che varia da 50 a 500mA con passi di 20mA.

Ci sono casi in cui il singolo bjt non riesce a fornire la necessaria amplificazione di corrente, per cui esiste un tipico utilizzo del BJT con configurazione a collettore comune detta coppia di Darlington che prevede l’utilizzo in serie di due bjt in cui l’emettitore del primo si collega alla base del secondo nel seguente modo. Chiaramente in questa configurazione la caduta di tensione sarà di circa 1.4V. L’amplificazione sarà data dal prodotto delle singole amplificazioni per cui:
βt =(β1+1)*( β2+1)Darlington

Lo schema è quello qui a lato, come vedete l’emettitore del primo bjt entra alla base del secondo per cui abbiamo l’amplificazione di una corrente già amplificata. Giusto per dare un’idea dei valori in gioco, ho creato il medesimo circuito simile ai precedenti, con gli stessi parametri fra i due, solo che da una parte ho usato un singolo bjt, dall’altra la configurazione Darlington: nel primo caso ho ottenuto una corrente di 200mA al collettore, nella configurazione Darlington ho superato i 6000mA (6A!) per un assorbimento di oltre 70W!

Configurazione a base comune

L’ultima delle tre configurazioni, quella a base comune, è la meno utilizzata di tutte. La configurazione è riportata sotto nei prossimi schemi. Nella simulazione ho applicato una tensione crescente da 0 a 2 V al generatore V1, e fissa di 15V a V2. Ovviamente alla base giungerà la tensione crescente da 0 a 2V, mentre nel tratto fra V2 ed R1 ci sarà la somma dei due visto che i generatori sono in serie per cui misurando in quel punto otteniamo una tensione crescente da 15 a 17V. Ora, cosa succede se misuriamo la tensione ai due estremi di R1? Come potete vedere nel grafico sotto, la tensione da 0 sale rapidamente sino a quasi 16V, infatti questa configurazione viene in genere utilizzata quando sia necessaria l’amplificazione di una tensione.

pnp-bc-schema
Schema usato per la simulazione qui sotto
pnp-bc-tensione
Quando la tensione alla base raggiunge circa gli 0.5V la tensione ai due capi di R1 comincia a crescere; una volta raggiunti i 0.7 vi è una crescita “esplosiva” che a 1V ha già raggiunto il suo picco massimo per cui, nell’esempio qui sopra, con l’applicazione di un solo volt alla base riusciamo ad ottenere una tensione di circa 15V ai capi del resistore.

Di seguito vi riporto una tabella con le caratteristiche più importanti delle diverse configurazioni.

 

Collettore comune

Base comune

Emettitore comune

Fase

180°

Terminale di ingresso

Base

Emettitore

Base

Terminale di uscita

Emettitore

Collettore

Collettore

Guadagno di voltaggio

BASSO

ALTO

MEDIO

Guadagno di corrente

ALTO (e-b)

BASSO (c-e)

MEDIO (c-b)

Guadagno di potenza

MEDIO

BASSO

ALTO

Resistenza di ingresso

ALTO

BASSO

MEDIO

Resistenza di uscita

BASSO

ALTO

MEDIO

Con questo abbiamo terminato, o meglio, abbiamo concluso l’introduzione dei bjt. Ci sono ancora molte cose da dire, ad esempio scopriremo nei prossimi articoli che passare dal funzionamento teorico all’applicazione pratica sono necessari un po’ di calcoli. Inoltre, come si accennava, dobbiamo tener conto della variabilità del coefficiente di amplificazione nei vari lotti produttivi e al variare della temperatura, tutte cose che introducono alcune problematiche tecniche da risolvere. Questo sarà argomento di uno dei prossimi articoli.